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di Giovanni Verga

Quella fatale tendenza verso l'ignoto che c'è nel cuore umanoe sirivela nelle grandi come nelle piccole cosenella sete di scienza comenella curiosità del bambinoè uno dei principali caratteri dell'amoredirei la principale attrattiva: triste attrattivagravida di noie o dilagrime - e di cui la triste scienza inaridisce il cuore anzi tempo.Cotesto amore dunque che ha ispirato tanti capolavorie che riempie permetà gli ergastoli e gli ospedalinon avrebbe in sé tutte le condizionidi essereche a patto di servire come mezzo transitorio di fini assaipiù elevati - o assai più modestisecondo il punto di vista - e nonverrebbe che l'ultimo nella scala dei sentimenti? La ragione della suacaducità starebbe nella sua essenza più intima? e il terribiledissolvente che c'è nella sazietào nel matrimoniodipenderebbedall'insensato soddisfacimento d'una pericolosa curiosità? La colpa piùgrave del fanciullo-uomo sarebbe la pazza avidità del desiderio che glifa frugare colle carezze e coi baci il congegno nascosto delgiocattolo-donnail quale ieri ancoragli faceva tremare il cuore inpetto come foglia?

All'ultimo veglione della Scalain mezzo a quel turbine d'allegriafreneticaavevo incontrato una donna mascheratadella quale non avevovisto il visodi cui non conoscevo il nomeche non avrei forse rivedutamai piùe che mi fece battere il cuore quando i suoi sguardis'incontrarono nei mieie mi fece passare una notte insonnecol suosorriso sempre dinanzi agli occhie negli orecchi il fruscìo del rasodel suo dominò.

Ella appoggiavasi al braccio di un bel giovanottoera circondata daglieleganti del Circoloadulatacorteggiataportata in trionfo; erasveltaeleganteun po' magrolinaavea due graziose fossette agli òmerile braccia delicateil mento roseogli occhi neri e lucentiil colloeburneoun po' troppo lungo ed esileombreggiato da vaghe sfumaturelàdove folleggiavano certi ricciolini ribelli; il suo sorriso eraaffascinante; vestiva tutta di biancocon una gala di nastro color dirosa al cappuccioe faceva strisciare sul tappeto il lembo della vestecome una regina avrebbe fatto col suo manto. Tutto ciò insieme a quelpezzettino di raso nero che le celava il visoricamato da tutti i puntiinterrogativi della curiositàdove brillavano i suoi occhie dietro alquale l'immaginazione avrebbe potuto vedere tutte le bellezze della donnae porla su tutti i gradini della scala sociale. Ella imponeval'ingenuitàla graziail pudore di una fanciulla da collegio in mezzoad un crocchio di uominifra i quali una signora per bene non sarebbesiavventurata neppure in maschera.

Era seduta colle spalle rivolte alla sala accanto al suo giovanottoegli parlava come parlano le donne innamoratedivorandolo cogli occhiefacendogli indovinare i vaghi rossori che scorrevano sotto la suamascherae i sorrisi affascinanti; gli posava la mano sulla spallael'accarezzava col ventaglio; sembrava che si facesse promettere qualchecosacon una insistenza affettuosa e carezzevole.

Io avrei dato qualunque cosa per essere al posto di quel giovanottoilquale sembrava mediocremente lusingato di quella preferenza; avrei volutoindovinare tutto ciò che non potevo udiretutto ciò che si agitava nelcuore di lei; avrei voluto penetrare attraverso la seta di quellamaschera; l'incognito di quel visodi quella personae di quel modestoromanzetto sbocciato al gas della Scala aveva mille attrattive per unosservatore. La mia simpatiao la mia curiositàavrà dovuto penetrarlacome corrente elettrica; perché si volse a guardarmi due o tre volteconquei suoi occhioni neri; poi si alzòprese il braccio del suo compagno esi allontanò.

Sembrommi che all'allegria di quella festa fosse succeduta unainesplicabile musoneriache mi mancasse qualche cosa; la cercavo conun'avida speranza di rivederlaquasi cotesta sconosciuta fosse diggiàqualche cosa per me.

Sul tardi ci trovammo di nuovo faccia a faccia accanto alla portamentre ella usciva dalla sala ed io vi rientravo. Rimanemmo immobiliguardandoci fissamente a lungocome due che si conosconoquasi anch'iodopo averla guardata tre o quattro volte durante la serafossi diventatoqualche cosa per leiil cuore mi batteva e sentivo che doveva battereanche a lei; sembravami che entrambi bevessimo qualche cosa l'uno negliocchi dell'altra; assaporavo il suo sorriso assai prima che le sue labbrasi schiudessero: ella mi sorrise infatti - un getto di buonumore e disimpatia che diceva: «So che ti piaccioe anche tu mi piaci!». Laparola più affettuosala lingua più dolce del mondonon avrebberopotuto riprodurre l'eloquenza di quel sorriso; il pensatore più eminenteo l'uomo di mondo più spensieratonon avrebbe potuto analizzare quelsentimento che irrompeva improvviso in un'occhiatafra due persone ches'incontravano in mezzo alla follacome due viaggiatori che partono peropposte direzioni s'incontrano in una stazionel'una accanto ad uomo cheamava forse ancoral'altro che avea visto il braccio di lei sull'òmerodi quell'uomo. Due o tre volte ella si rivolse a guardarmi collo stessosorrisoed io la seguiisenza sapere io stesso dietro a quale lusingacorressi. La folla me la fece perdere di vista; la cercai inutilmente nelridottopei corridoinel caffèin plateada Canettain quei palchiche potei passare in rassegnadappertutto.

Avevo la febbre di uno strano desiderio; divoravo cogli occhi tutti idominò bianchitutte le vesti che avessero ondulazioni graziose. A untratto me la vidi improvvisamente dinanzio piuttosto incontrai il suosguardo che mi cercava. Io dava il braccio ad una donna che rivedevoquella sera dopo lungo tempo. Nello sguardo dell'incognita c'era una mutainterrogazione; ella mi sorrise di nuovo; non potei far altro che mandarleun saluto mentre mi passava accanto; ella si voltò vivamentemi lanciòa bruciapelo uno sguardo ed un sorriso e ripeté: - Addio! - Nondimenticherò mai più quella voce e quell'accento!

Non la vidi più. Rimasi a digerire il mio dispetto e il cicalecciodella mia compagna. Sognai tutta la nottesenza chiudere gli occhiquelviso che non conoscevo; sentivami in cuore un solco luminoso lasciatovi daquello sguardo; l'impossibilità di rintracciarla dava all'apparizione diquella sconosciuta un prestigio di cosa straordinaria; nel sorriso di leiio poteva immaginare un poema d'amoreche riceveva tutto l'interessedall'essere troncato sul fiore e per sempre. Per sempre! non èparola che scuote maggiormente l'animo umano? Io prolungai quel sogno pertutto il giorno. Sembravami che ci fosse qualche cosa di nuovo in meeche avessi ricevuto il sacramento di una perdita immensa. Quando la miaimmaginazione si stancò di vagare nelle azzurre immensità dell'ignotoper una reazione naturale del pensieroio guardai con sorpresa nel miocuoree domandai a me stessose mi fossi innamorato di quel pezzettinodi raso nero che nascondeva un viso sconosciuto.

Lo sguardo di quell'incognita mi aveva messo il cuore in sussultomentre davo il braccio ad un'altra donna che un tempo avevo amato come unpazzoe che in quel momento istesso si esponeva al più grave pericoloper me. Io maledivo l'ostinazione di cotesto affetto che mi impediva dicorrere dietro alla sconosciuta con tutto l'egoismo che c'è in un altroamore.

Per due o tre giorni cercai ansiosamente quell'amante che nonconoscevoe sentivo che il rivederla mi avrebbe tolto qualche cosa diLei. La rividi in Galleriala riconobbi a quello sguardo e a quel sorrisoche mi dicevano: «Son iomi ravvisi?». Mi sentivo spinto fatalmenteverso di leie venti volte fui sul punto di prenderle la mano al cospettodelle persone che l'accompagnavano.

In piazza della Scala si rivolse due o tre volte per vedere se laseguissi. Le vaghe incertezzele gioie tumultuosei febbrili desideridell'amore a vent'anni mi inondarono il cuore in una volta: l'ondeggiaredella sua veste sembravami avesse qualche cosa di carezzevole; il suopaltoncino biancoe il fazzoletto che pel freddo si teneva sul visoavevano irradiazioni luminose. Io non saprei ridire l'emozione che provaial pensiero di poterle dare il braccioo di poter toccare un lembo diquel fazzoletto. Ad un tratto ella attraversò la viainsieme alla suacompagnae seguìta dalla sua scorta di parenticamminando sulla puntadei piedi e rialzando il lembo del suo vestitovenne a mettersi al miofianco. Mi guardò in visocome se aspettasse qualche cosa da me. Iosentii un dolore acutoe volsi le spalle.

La rividi ancora parecchie voltee gli occhi di lei mi domandavano: -Cos'hai? - io non osavo dirle: - Non mi piaci più -. Ella si stancò disollecitare i miei sguardie quando mi incontrò volse altrove il capo.Una serasotto il portico della Scalasentii afferrarmi la mano da unamano tremante che vi lasciò un bigliettino microscopico. Mi rivolsivivamente: non vidi che visi sconosciutie un po' più lungi la miaincognita che si allontanava senza guardarmi; sebbene fosse passata cosìlontanosebbene da qualche tempo distogliesse da me lo sguardo conindifferenzatutte le volte che mi incontravail mio pensiero corse alei senza esitare un momentonello stesso tempo che per una stranacontraddizione tacciavo di follia il mio presentimento.

Una sola parola riempiva tutto il biglietto: «Seguitemi». Chi?dove? perché? Coteste interrogazioni diedero colori di fuoco a quellasemplice parola; il mistero che vi era racchiuso si rannodavacon logicairresistibilea quell'incognitae le ridava tutta quella vaga eindefinibile attrattiva che il vedermela al fiancosotto il fanale a gasavea fatto svanire in un lampo; il dubbio d'ingannarmi mi mise addossomille impazienze. Ella non sembrava nemmeno accorgersi di me - io laseguii. Quando la porta della sua casa mi si chiuse in faccia rimasi inmezzo alla stradasenza avere la forza di andarmenecoi piedi nellanevetutte le finestre della via che mi guardavanoe i questurini chevenivano a passarmi vicino. Dalle undici alle due del mattino io non ebbiun momento di esitazione o di stanchezza; non dubitai un istante. Udiiaprire pian piano la portae vidi nell'ombra dell'arcata una formabianca. Ella tremava come una foglia quando le toccai la mano; sembravache avesse la febbre; mi disse con voce strozzata dalla commozione: - Cheavete? che vi ho fatto? ditemelo - come se ci conoscessimo da dieci anni.

Certe situazionicerte parolecerte inflessioni di voce hannosignificazioni evidentiirresistibili; la giovinetta che avevo incontrataal veglionein mezzo ad uomini che portavano in trionfo Cora Pearle laquale mi gettava le braccia al collo nel buio di una scaladava la piùluminosa prova di candore coll'espansione della sua simpatia: sentimentostrano che non sapevo spiegaree di cui non osavo chiederle ragione.Nella sua fiducia c'era tanta innocenza che avrei voluto rubarle gliorecchini per insegnarle a diffidare degli uomini. Sentivo fra le mie lesue povere mani tremantie le sue parole sommesse sembrava che misfiorassero il viso come un bacio. Certi sentimenti inesplicabili hanno unfondamento essenzialmente materiale; tutto l'incanto di quell'ora diparadiso stava nel buio di quella scala. Sembravami che le larvedell'ideale avessero preso corpo e mi stringessero le mani: - Io ti sonpiaciuta senza che tu mi avessi vista in viso- ella mi disse. - Eccoperché ti amo - e non mi domandò nemmeno come mi chiamassi.

Ella si fece promettere che sarei tornato a vederla la notte seguente.Ahimè! insensata promessa che rimpiccioliva il desiderio nelle meschineproporzioni di un volgare appuntamento. Noi avremmo dovuto inventare tuttigli ostacoli che mancavano alla nostra felicitào non rivederci maipiù. La notte seguente tornai da lei con un sentimento penosocome seavessi perduto qualche cosa.

La rividi nel suo salottinoraggiante di bellezzaed il cuore mi sidilatò di gioiaquasi le prime sensazioni della sciagura fosseropiacevoli; contemplavo avidamente quelle leggiadre sembianze ches'imporporavano per mee in mezzo alla festa del mio cuore sentivoinsinuarsi un vago turbarmento - il mio ideale svaniva; tutto quello chec'era in quella bellezza veramente incantevole era tolto ai miei sogni;sembravami che il mio pensiero si fosse impoverito trovandosi costrettonei limiti della realtà. - Che hai? - mi disse. - Nulla- risposi- c'etroppa luce qui -. Ellapovera ragazzamoderò la fiamma della lucerna.Non si avvedeva del turbamento che c'era in mee non avea paura dellafunesta avidità con la quale i miei occhi la divoravano. Parlavasorridentegiulivacome un uccelletto innamorato canta su di unramoscello; mi raccontò la sua storiauna di quelle storie che l'angelocustode ascolta sorridendo. Aveva amato il cugino con cui l'avevo vista alveglioneera venuta colla zia da Lecco per luie il cuginoin capo adue o tre giomi di esitazionele avea fatto capire bellamente che nonl'amava più. Alloradopo le prime lagrimeella avea pensato a quellosconosciuto che al veglione della Scala l'avea guardata in quel modo. - Ioti ho letto negli occhi che ti piacevo- mi disse- e ti sorrisi perchéciò mi rendeva tutta lieta; in quel momento avevo un gran dolore incuore. Se mio cugino avesse seguitato ad amarmiio non te lo avrei maidettoma ti avrei sempre voluto bene come ad un fratello. Ora che miocugino non vuol saperne più di me... ebbeneanch'io voglio amare chipiù mi piace! - Tossiva di quanto in quantole guance le siimporporavanoe gli occhi le si facevano umidi. - Non mi dire che misposeraise vuoi lasciarmi come quell'altro... Sono stata tanto malata! -Addio! - le dissi. - Tornerai domani? La zia va dalle mie cuginenon averpaura; tornerai? - Addio -.

Non la vidi più. Sentii che mi sarei trovato umile e basso dinanzialla fiducia e all'entusiasmo di quell'amore che non dividevo più. Esentivo del pari di aver perduto irremissibilmente un tesoro.

In novembre ricevetti una lettera listata di nero; era lo stessocarattere che aveva scritto seguitemi; le mani mi tremavano primad'aprirla: Se volete ripetere l'addio che deste ad una mascherinaall'ultimo veglione della Scalascrivevamirecatevi al Cimiterofra una settimanae cercate della croce sulla quale sarà scritto X.

Quella letteraper un caso che farebbe credere alla fatalitàs'erasmarrita alla postae mi pervenne con qualche giorno di ritardo. Io volaia quella casa che non avevo più riveduta; scorgendo le persiane chiuseil cuore mi si strinse dolorosamente. Corsi al Cimiterosenza osare dicredere al presagio funesto di quella lettera; al primo viale che infilaiquasi il destino si fosse incaricato di guidare i miei passialla primaterra smossa di frescosu di una croce di ferrolessi quel segno cheella avea desiderato sulla tombatriste geroglifico del suo amore; e lìcoi ginocchi nella polveremi parve di guardare in un immenso buiotuttoriempito dalla figura della mia incognitadal suo sorrisodal suonodella sua vocedelle parole che mi ha dettedai luoghi dove l'avevovista. Sentii un gran freddo.